00 01/12/2009 16:08

Quel di più


Davanti ad un quadro, mi capitava di fermare la mia realtà
per farne muovere un’altra, più interiore. In quegli attimi di
contemplazione di realtà dipinte da toccare con l’animo, sentivo che vi
era qualcosa che mancava nella mia vita. Questo mio atteggiamento,
m’indusse a cercare quel di più non solo in me, ma in ogni cosa che
mi era attorno.
Fino ad allora, avevo avuto l’impressione che la mia realtà era
stata recintata dal mondo esterno con dentro il suo spazio/tempo, in
confini netti tra ciò che esiste e ciò che non si conosce. Per liberarmi
da questa sensazione negativa e per dar sfogo al mio ego intrappolato
nel passato, decisi di dedicarmi alla pittura. Dopo svariati tentativi e di
tele pasticciate, pensai di chiedere al mio amico Alberto di aiutarmi in
questo mio intento.
Alberto è un pittore eclettico ed innovatore, che incarna in sé lo
spirito di libertà individuale, che enfatizza l’essenza genuina e
sfaccettata dell’universo. È anche un bravo violinista.
- Per oggi, ho da proporti qualcosa... - mi disse Alberto,
mostrandosi entusiasta per la sua idea. - Io suonerò il violino e tu ti
lascerai guidare dalla mia sinfonia. Dipingerai ciò che ti verrà in
mente. Vanno bene anche, dei particolari ricavati da quadri di pittori
famosi, come ad esempio L’Urlo di Munch, se vuoi esprimere il tuo
bisogno di urlare, o le stelle di Vang Gogh, se ti senti romantica... Fai
un po’ tu. Se vuoi dare un’occhiata ad uno di questi cataloghi... - e me
ne indicò alcuni che io ignorai.
Riflettei per un attimo sul soggetto da riprodurre e mi balenò in
mente un celebre dipinto, Persistenza della memoria, di Salvador Dalì.
Il credere che potevano esistere altri modi di interpretare la realtà,
totalmente differenti dal nostro abituale concetto di vedere tutto ciò che ci
circonda, mi entusiasmava e m’incuriosiva. Apriva un varco di luce nella
mia mente!
Nel frattempo, Alberto, iniziò a suonare. Muoveva con tale maestria
ed eleganza l’archetto, che sembrava volesse cavalcare quelle vibrazioni
per raggiungere un preciso scopo. La sua melodia sembrava risvegliasse in
me la memoria nascosta Ci fu un attimo in cui sentii il mio cuore battere
forte in petto.
Finii di dipingere prima che terminasse l’esecuzione del brano
musicale. Così aspettai.
- Puoi dirmi che cosa hai rappresentato? - Mi esortò Alberto, con
tono gentile e senza commentare il mio disegno.
- Ho riprodotto alcuni particolari di un quadro famoso, come tu mi
avevi chiesto.
- Bene, Elvira. Hai interpretato la realtà così come la stai vivendo!
Mi guardò attentamente per vedere la mia reazione. Sembrava che
fosse capace di leggere nella mia mente, infatti, prontamente ribattei:
- Oh no! Non è come credi tu. - Poi gli spiegai il motivo della mia
scelta: - Sin da piccola, ero rimasta affascinata da un dipinto che avevo
visto per caso sfogliando un libro d’arte. Mi riferisco ad uno dei più
rinomati quadri di Salvador Dalì, Persistenza della memoria. Gli orologi
molli, da lui interpretati in qualche modo, mi avevano lasciato qualcosa su
cui indagare e scoprire quale altra realtà si potesse nascondere dentro ogni
oggetto. Ricordo ancora le parole che avevo letto su quella pagina, che
tutte le forme avevano una componente dura e una morbida, che tutte
potevano mutare d’aspetto, ed essere viste da un’altra dimensione: gli
orologi molli non sono altro che Camembert paranoico-critico... tenero,
stravagante e solitario... del tempo e dello spazio.
- Bene, ottima memoria, - lui mi disse con un mezzo sorriso. - Oltre
che essere un’intenditrice d’arte, noto che sai tutto sul formaggio
Camembert...
- Niente affatto! Non l’ho mai degustato! Conosco solo alcune sue
caratteristiche. Per esempio, che è un formaggio a pasta molle, e con
crosta fiorita di colore bianco.
- Così, hai passato la tua vita ad osservare gli orologi molli di Dalì,
ispirati al formaggio Camembert, senza averne mai assaporato la sua
duplice consistenza? Allora, non puoi nemmeno immaginare cosa vuol
dire sentire in bocca la squisitezza di quel tipico formaggio, denso e allo
stesso tempo cremoso, una vera gioia culinaria! Se vuoi davvero scoprire
cosa Dalì intendeva con paranoico-critico, tenero, stravagante, solitario,
del tempo e dello spazio... devi assolutamente assaggiarlo! La prossima
volta lo comprerò e lo assaggeremo insieme.
- Sì, certo, è un pensiero gentile da parte tua, - lo interruppi. - Solo
che a me non piacciono molto i formaggi, alcuni, per me, sono davvero
nauseanti, e poi...
- Duri o molli che importa! Purché facciano l’ora esatta, - disse lui
con un pizzico d’ironia.
Mi sforzai di sorridergli. Lui si accorse del mio umore fiacco.
- Ti sento un po’ giù, oggi! Che cosa ti è successo, Elvira?
- Questa mattina, ho avuto una breve discussione con mia madre. -
risposi d’un fiato. - Ad un tratto, mi sono sentita senza nessuna consistenza!
Ogni parola che le dicevo sembrava non avere nessun peso su di lei.
Forse, per questo, ho pensato a quel dipinto. Mi sento come uno di quegli
orologi afflosciati!
Alberto prima mi guardò. Dopo un po’ mi disse: - Ricordo quando ci
siamo incontrati la prima volta in quella Galleria d’Arte. Avevi un’aria
afflitta, come ora!
- Sì, quel giorno ero triste. Ricordo che fissavo la tua bocca sottile
deformarsi mentre commentavi a voce alta il tuo dipinto che avevo tanto
criticato.
- Vede questi tagli sulla tela? - mi dicesti - Non sono solo semplici
squarci fatti senza alcun senso per impressionare chi li guarda, ma...
queste fenditure, cara signorina, sono come delle fughe temporali, delle
soglie per accedere ad una consapevolezza più espansa della realtà,
quella che si nasconde dietro ad ogni cosa!

Non avrei mai immaginato che l’uomo che era al mio fianco, poteva
essere l’autore di quei rivelatori tagli che allora, non avevano per me,
nessun significato.
- All’inizio, mi ero chiesto che cosa ti attirava in quella mia opera
per spingerti a restare lì, piantata davanti a quel quadro per più di un
quarto d’ora! Mi chiedevo che cosa ti avevo trasmesso.
- Signorina che cosa le piace di questo dipinto?- Ti avevo
domandato con tono gentile. E tu mi avevi risposto: - Questi tagli,
sinceramente, non mi dicono nulla. Chissà che cosa spinge un pittore a
compiere un simile gesto? Mi chiedevo se fosse stato un suo attimo di
follia.
- Allora ti spiegai il mio pensiero, e quel nulla cominciò ad avere una
sua consistenza, una sua profondità. Il Nulla diventava il Tempo e lo
Spazio da attraversare con gli occhi della mente. A quel punto, ho avuto
l’impressione che stavi afferrando il concetto. Così t’incalzai: - Lei crede
realmente in tutto quello che vede intorno a sé? -
Tu mi guardavi in
silenzio, con quei tuoi stupendi occhioni blu, immersi nel profondo del tuo
intimo.
- Ricordo, infatti, che quel suo starmi addosso con lo spazio
temporale mi aveva fatto riflettere molto. Mi aveva, infine, spinto ad
elaborare un pensiero tutto mio. Così ti risposi: - A volte basta poco per
scoprire che c’è in noi un ‘di più’ che va oltre a ciò che crediamo di
essere. Ed è quel di più che, probabilmente, fa la differenza tra una
realtà ed un'altra.

- Elvira, se ti ponessi, ora, la stessa domanda di allora, cosa mi
risponderesti?
- Beh... che dipende sempre da quel ‘di più’! E’ un dono che alberga
in ognuno di noi, e che, se smosso, permetterebbe d’essere più flessibili ed
elastici, rispetto alla staticità di ciò che è normale.
Dall’espressione di Alberto, mi accorsi che era la risposta che lui
s’attendeva. Mi stava sorridendo annuendo.
- Elvira, devi quindi cercare di smuovere quel ‘di più’…
Senza preavvertirmi, mi sollevò il mento con due dita, in modo
delicato, e me lo tenne fermo in quella posizione. Poi cominciò a
disegnare qualcosa sulla mia guancia destra. Pensai a Dalì, all’Urlo di
Munch… ad altri pittori, a quel di più posseduto da ognuno di loro che
arricchiva la loro realtà rendendola più modellabile. Avevo intuito che
quel di più era anche in Alberto. E lo lasciai fare.
Ad un tratto, avvicinò il suo viso al mio. Incrociai da vicino i
suoi occhi, che esaltati dal colore nero della matita, sembravano
accesi. Erano di un intenso colore verde. Lui accennò un sorriso, ed io,
imbarazzata, abbassai lo sguardo. Il profumo del suo dopobarba era
strano, ma buono. Iniziai a sentire caldo. Dopo un po’, avvicinò le sue
labbra al mio orecchio, sfiorandomelo. Ebbi un sussulto e trattenni il
fiato. Con voce tranquilla, Alberto mi bisbigliò:
- Non essere così tesa, rilassati!
Allora respirai profondamente, mentre lui continuava la sua opera.
Quando Alberto finì di dipingere, sospirai con sollievo. Guardò con
aria disinvolta ciò che aveva disegnato, e non contento, premette
leggermente il suo pollice sulla mia pelle per sfumare il colore.
Incrociai di nuovo il suo sguardo vivido. Guardai Alberto con occhi
interrogativi.
- Che cosa c’è?
- Niente, - risposi.
- Ti senti poco bene? - Mi chiese Alberto scrollandomi leggermente
le spalle. Aveva un tono di voce preoccupato.
- Sì, sì... ora sto bene, grazie.
Mi sentivo stralunata. Rimasi lì, seduta immobile. Continuavo ad
affliggermi per la paura che il mio spazio/temporale, da un giorno
all’altro, sarebbe stato di nuovo recintato. Mi sentivo come un blocco
di pietra, una scultura dove in ogni piega c’era l’ombra della mia
paura causata dalla mia estrema sensibilità.
Ero persa in quei pensieri, quando Alberto mi richiamò alla realtà:
- Elvira, prendi. - Disse sottovoce, porgendomi uno specchio dalla
forma ovale.
Ebbi un sussulto quando vidi la mia immagine riflessa
deformarsi. Ad ogni minimo movimento, il mio volto tendeva a
protendersi verso il basso. Sorrisi divertita. Mi sembrava di essere
intrappolata in una deformazione temporale infinita dove ogni cosa era
instabile. Provai a guardare gli oggetti dietro le mie spalle.
- Che cosa vedi?
- Una realtà distorta, direi molle!
- Brava! Anche se... mi riferivo al disegno che ho disegnato sulla
guancia, Elvira!
Distolsi lo sguardo dalla mia immagine, lo guardai e iniziai a ridere.
Poi, mi spiegò che quello specchio ovale, che lui stesso aveva
comprato al mercatino di oggetti antichi, lo aveva aiutato a guardarsi in
modo diverso.
- A me, ora non serve più, tienilo tu! Vedo che ti mette di buon
umore!
Sorrisi, e lo ringraziai.
Impugnò l’archetto, si concesse un attimo di concentrazione, e
riprese a suonare.
Mi sentii far parte del suo universo multiplo, fatto di diverse
consistenze.

FINE

Paola Carrozzo